I Film
CANNES 2015: Mia madre
di Nanni Moretti, con Margherita Buy, Nanni Moretti, John Turturro, Giulia Lazzarini
ITALIA, FRANCIA, GERMANIA 2015
Già dal (programmatico) titolo Nanni Moretti svela la propria volontà di mettere in scena il rapporto con la figura genitoriale, spesso vista nel cinema come pilastro su cui si poggia la famiglia, ma a volte capace di essere il fattore scatenante della sua disgregazione. Ci troviamo così di fronte a un fratello e una sorella, Margherita, regista alle prese con una difficile produzione e un ancor più difficile attore straniero, e Giovanni, ingegnere in crisi, (ri)uniti accanto a un letto d'ospedale. Margherita, incapace di accettare l'avvicinarsi sempre più veloce della morte della madre, non riesce a darsi pace e soffre per l'impossibilità di dare un aiuto concreto; Giovanni, pragmatico e quasi arrendevole, invece abbandona tutto pur di rimanere accanto alla madre, cioè pur di godere per pochi attimi della vicinanza di quella persona che resterà sempre un punto di riferimento nella sua vita. Per raccontare questi due dolori, distinti, ma ugualmente terribili, Moretti decide di muoversi agilmente tra passato e presente, realtà e finzione, sogni e illusioni, in un viaggio labirintico che pare diventare un flusso di coscienza fino al momento finale dove il riflesso della madre – attraverso il ricordo degli altri – potrà (forse) portare sollievo a questi due personaggi.
Guardando "Mia madre" mi viene in mentre un piatto particolare della cucina del Lazio, il cinghiale in agrodolce. Una carne dal gusto estremamente deciso, come l'idea alla base della realizzazione del film, che viene accompagnata ed esaltata da due sapori che si scontrano tra loro: la dolcezza dell'uva sultanina e del cioccolato, che tanto ricordano quella del rapporto tra una madre e i suoi figli, mentre dall'altra il vino rosso e le visciole che con la loro acidità riportano alla mente il terribile dramma della perdita. Un incontro/scontro che, superata la pesantezza iniziale, regala un finale (gustativo) straordinario.
Diego Garufi