I Film
  
CANNES 2018: The House that Jack Built
di  Lars Von Trier, con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman
DANIMARCA   2018
  “Cacciato”  nel 2011 per una frase molto poco “politicamente corretta”, dopo 7 anni il  Festival di Cannes finisce per perdonare l’irriverente (e geniale) Lars Von  Trier invitandolo insieme al suo ultimo film, “The House That Jack Built”, ma  mettendolo “fuori concorso” (forse per evitargli una rischiosissima conferenza  stampa).
  
  La  pellicola narra le vicende di Jack, un ingegnere con ambizioni da architetto,  un'ossessione spiccata per l'igiene e il desiderio di costruire la casa dei  suoi sogni. Da questo a diventare uno spietato serial killer il passo (per Lars  Von Trier) è breve e del tutto (ironicamente) accidentale, visto che la sua  prima vittima (la povera Uma Thurman) verrà appunto uccisa con un “jack”, cioè  un cric. Da lì per Matt Dillon sarà una vera e propria discesa agli inferi  della “creatività” perché Jack troverà nello sfogo omicida l’espressione  artistica a lui più congeniale, e nei corpi delle vittime il materiale organico  ideale. Le sempre più stravaganti e grottesche bizzarrie inferte su donne e  bambini finiscono per azzerare il duplice rischio “empatia o repulsione?”, così  che lo spettatore finisce per osservare il film da vero spettatore anche perché  Lars Von Trier, tra un cadavere e l'altro, ci invita a riflettere – a suo modo,  con tanto di autocitazioni e rimandi letterari, fra cui l’Ulisse e l’inferno  dantesco – sull'importanza della creazione artistica come una forma di  “assassinio” di vite immaginate.    
  
Il  film finisce per essere una coppa di  testa di maiale, un salume che nasce dall'esigenza produttiva di utilizzare  anche le parti meno nobili dell'animale, parti che vengono assemblate proprio  come Jack fa con i suoi cadaveri, generando un odore (e un sapore) “animalesco”  che se da un lato è repellente, dall’altro risulta – antropologicamente,  perversamente – accattivante. La sua consistenza viscida finisce poi per essere  alter ego non soltanto di Jack, anche di un’esistenza che Lars Von Trier vede  ricolma di “scivolose” ambiguità.  
  Eleonora Tosti