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I Film

Un altro mondo
di Silvio Muccino, con Isabella Ragonese, Maya Sansa, Greta Scacchi e Michael Rainey jr.
uscita in Italia: 17 dicembre


Sarà che la gente che mi conosce oramai è condizionata, con questa storia della Cinegustologia, ma una delle persone con cui sono andato a vedere “Un altro mondo” il giorno seguente m’ha detto: “Però, lì per lì mi sembrava quasi un filmetto, poi, a distanza di ore, m’ha lasciato in bocca un buon sapore”. “Eh già”, ho detto io con la testa un po’ bassa, visto che “Un altro mondo” l’avevo scelto come ripiego rispetto a un altro film, la cui sala avevamo scoperto essere già piena. Purtroppo, infatti, anche noi critici siamo vittime di preconcetti contro cui – almeno per professione – cerchiamo sempre di combattere, anche se a volte con scarsi risultati, ed il motivo stava nel fatto che il primo film da regista di Silvio Muccino, “Parlami d’amore”, era notevolmente brutto, e che questo, a guardare i manifesti, dava l’idea fosse un concentrato di retorica nazional-popolare, di quella che oltretutto viene fatta da chi ha la pancia molto piena, e pure di cose buone. A essere onesti qualche spruzzata di tutto questo nel film c’è, però è anche vero che qua e là si sente dell’onestà, cioè del sincero bisogno di uscire dalle comode abitudini della vita borghese per dare un senso vero alla nostra esistenza, ed è proprio questo a lasciare in bocca un buon sapore, pure – per dirla coi vini – persistente, nonostante la condizione (materiale) raccontata dal film non rispecchi per nulla quella del pubblico medio. Questo, unito alla frase del mio conoscente, m’ha fatto pensare a quando bevi un vino di quelli industriali da 6 euro e ci scopri dentro, oltre a delle caratteristiche olfattive-gustative di facile approccio, anche una nota meno costruita, che va giù dritta in fondo ai tuoi sensi e lì vi rimane per molto tempo ancora, a livello di memoria. Lo stesso dicasi per certi prodotti da supermercato già lavorati, se non addirittura precotti e surgelati, che non sono sempre così cattivi, anzi, a volte sono meglio – anche in termini di qualità – di certi “finti freschi” che pure ti fanno pagare un occhio della testa.
È dunque così che quando nella vita di questa coppia un po’ viziatella, che non lavora e passa le giornate di festa in festa e di canna in canna, s’introduce il fratellino di lui, pure di colore (fratellino che il protagonista non sapeva d’avere, e deve andarsi a prendere in Kenya a seguito della lettera del padre morente che se n’era scappato là per costruirsi una seconda famiglia), s’accende il faro delle cose nuove che contano: un faro che prima costa sudore, poi diventa una (sana) droga, nel senso che i due faticano a tornare all’(inutile) vita di prima dopo aver assaporato la gioia della stanchezza per qualcosa che vale…

Marco Lombardi


Potiche