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I Film

CANNES 2012: Amour
di Michael Haneke, con Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva e Isabelle Huppert

L’amore sa di cioccolato e il cioccolato sa di amore, accomunati come sono da un gusto rotondo e passionale. C’è però cioccolato e cioccolato, perché dal bianco al latte al fondente la differenza è enorme. Lo stesso dicasi per il solo fondente, visto che la percentuale di pasta di cacao può variare di molto, determinando il punto di amarezza. Esisterà quello al 99%? Forse no, ma in compenso c’è l'ultimo film di Michael Haneke, in concorso a Cannes, che può essere un ottimo sostituto. Perché lì l’amarezza sovrasta tutto il resto. Anche l’”Amore”.

Lo sguardo del regista non risparmia nulla allo spettatore in questa parabola discendente che coniuga alla perfezione il binomio eros/thanatos, motore di molte storie. Dalla prima scena in cui alcuni uomini irrompono in un appartamento come fossero spermatozoi, lo spazio-penetrato diviene metafora e specchio della spinta vitale che sta alla base del sentimento massimo dell'essere umano: l'amore. A fare da contrasto la presenza di un cadavere. Cosa è successo tra quelle mura? Lo racconta un lungo flashback che poi è il film, a partire dall’inquadratura del pubblico di un teatro in cui lo spettatore (cinematografico) è invitato a cercarsi, fino a focalizzare l'attenzione su una coppia di anziani che, separandosi dalla folla, fa rientro a casa. Sono George e Anne, sposati da molti anni. Il loro equilibrio è perfetto, ma viene bruscamente interrotto dal malore di lei che presto si fa malattia, progressiva e ineluttabile. Del loro passato si conosce l’essenziale: una figlia, un ex-allievo, l’amore per la musica, qualche fotografia, una cartolina tempestata di stelle – elementi disseminati qua e là in quello che può considerarsi un microcosmo, le cui dinamiche sono semplici e riconoscibili a chiunque, come il suono dello scorrere dell’acqua. Dell'epilogo del loro "Amore" sapremo tutto, fin nei più intimi e scomodi dettagli, quelli che il cinema in genere non “ama” raccontare, servendosi normalmente di molto “zucchero” affinché siano digeribili. Al contrario lo sguardo di Haneke è fisso e rigido come le pareti della casa che assiste – inerme – allo spettacolo della morte. Così tanto che proprio quelle pareti sembrano essere fatte di un cioccolato fondente extra-extra-extra-extra bitter.

Eleonora Tosti


Potiche