Le vostre recensioni
We want sex
di Nigel Cole, con Miranda Richardson, Bob Hoskins, Sally Wawkins
uscita in Italia: 3 dicembre 2010
Nuova alla critica sia cinematografica, sia enogastronomica, tenterò di seguire l’invito della Cinegustologia al “libero sentire”, parlando a ruota libera (appunto) del recente film inglese “We want sex”. Al di là del titolo – furba allusione a chissà quali fantasticherie erotiche che certo avrà richiamato un gran numero di spettatori rispetto a un più didascalico “Caso Ford” – non lo si può di certo associare a un voluttuoso plateau royale di frutti di mare, piuttosto a una genuina e calda zuppa di pane, fatta con poco ma così confortante, soprattutto nei gelidi giorni d’inverno, fino a diventare una tranquillizzante coperta di Linus. Sarà per la semplicità, sarà che, grazie a dei guizzi d’ingegno, la stessa può diventare un quasi nobile primo piatto, ripensando al film ho subito avvertito il sapore deciso di aglio e peperoncino che il pane sferzano e ridefiniscono. Così, le operaie della Ford di Dagenham nel 1968, umiliate da una ingiusta politica aziendale, iniziano uno sciopero a oltranza che porterà alla paralisi dell’industria spingendo il governo britannico a varare la legge sulla parità di retribuzione. Semplici ingredienti, le addette alla cucitura dei sedili per auto, stupiscono per una istintiva tensione all’equità, un naturale senso di giustizia e a una impensata capacità organizzativa e di lotta. La storia, ben raccontata da Nigel Cole, non intende sottolineare aspetti inutilmente ideologici, ma accompagnare in un crescendo emotivo (probabilmente più femminile) di un “insieme si può fare”. In questo senso penso ai piatti sempre diversi che si riescono a combinare con i pochi elementi di una dispensa in sofferenza. Grazie alle abili associazioni di un sensibile chef, pochi e volgari ingredienti possono produrre sorprendenti e gustosissimi risultati. Insieme ce la fanno. E altri piatti affini mi vengono in mente, la ribollita, la pappa al pomodoro, la zuppa di porri con le varianti imposte o volute che il cuoco di turno saprà inventare. E ancora un buon risotto al Chianti, sostanzioso (o sostanziale, pensando al film) prodotto gastronomico toscano che per l’utilizzo dell’allegro vino tanto mi rimanda alla levità descrittiva del film, pur raccontando le condizioni – anche drammatiche – della classe operaia. In fondo sono tutti piatti dell’Italia più povera, ma anche forse più contenta. Quando il pane non si buttava e la zuppa si ribolliva, felici comunque di poter inventare da poco. E che invenzioni! Grazie a Marco per la palestra di pensiero che ci offre.
Diletta
Cara Diletta,
sei tu la mia palestra! ☺ Il tuo pezzo è cinegustologicamente ineccepibile, sei riuscita a raccontarmi il film a me che non l'ho visto (anch'io sono uno di quegli spettatori che credeva parlasse di sesso, però in modo finto e furbetto, così non sono andato a vederlo – a riprova di quanto siano a volte sbagliate le strategie di marketing dei distributori). Anche a te dico: perché non ci riprovi con un piatto o con un vino? raccontandocelo con il cinema…
Marco